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Gianluca Costantini
Decoration of Existence

Accettare la sfida di Massimo Galletti

Pubblicato in: Cannibal Kitsch n.1, Underground Press, 2005

È così: pare che io abbia proprio avuto l’onere e l’onore di essere stato il primo “editor/e” a pubblicare un lavoro di Gianluca Costantini (d’ora in poi, sennò mi sentirei falso, ed essendo abbastanza amico da permettermelo senza peraltro sentirmi obbligato a parlar bene per forza, d’ora in poi, dicevo, solo Gianluca). È così e, lo dico senza fingere, di questo mi fan piacere varie cose.

Mi fa piacere essere stato il primo a pubblicare un buon numero di piccoli/o/grandi artisti, in quei venti trenta mesi di “potere”, la “mia” rivista, il mio schizzo… Mi fa talmente piacere che odio quel qualcuno non pubblicato per primo da me, pur amandolo…, e mi fa talmente piacere che odio chi non sono più riuscito a pubblicare e chi li ha pubblicati dopo di me, quando io li amavo ancora… (imbarazzante confessione in pubblico non richiesta), e quanto ho odiato Gianluca e Niccolò (Gros Pietro) e la splendida in due passi Interzona, che non aspettava, e pubblicava, e dove infine lui viveva… ah, i ricordi d’amore… Mi fa piacere, davvero piacere di essere stato il primo a pubblicare un lavoro di Gianluca; mi fa piacere, davvero piacere che Gianluca spesso se ne ricordi; e mi fa piacere, e onore, oggi grazie anche ad allora stare a scrivere queste parole proprio qua. Mi fa piacere perché Gianluca… (e voi direte, ma come la tira lunga questo senza dir nulla, e invece io ribadisco, checchè il piacere e l’allegria e la felicità valgon ben più delle pippe finto intellettuali che andrete a sorbirvi fra poco più di un ;.

Lo ricordo già confusamente, il 1993 secolo scorso; e confesso, “Ultimo Appuntamento” non la ricordavo. Avevo a mente con Nicola Scianamè i bozzetti più lirici, ed ero chissà perché convinto che la prima storia che avevo pubblicato di Gianluca fosse “Probabilità”, scritta con Giovanni Barbieri, e finita su Schizzo Posse 3, fine della mia carriera di editor/e, di un paio di anni dopo, ma mi accorgo ora, chissà perché, non datato. Così ci ripenso e mi torna alla mente qualcosa, le pagine, la posta. Così a naso, credo fosse un problema di pagine (+Vittorio Giardino). “Probabilità” era ben 11 pagine, che nell’economia costretta delle mie 64 criticapiùcomics erano tantine, per l’algida matricola Gianluca (confesso, forse per i miei scavati Ribichini e Bruno avrei fatto follie..). Ma rimango convinto che “Probabilità” sia la prima cosa che ho letto di Gianluca, e quindi con lei di aver fatto per la prima volta il conto con quel suo segno, con quella sua calligrafia.

Poi c’è la posta (se c’è tra voi qualcuno che riceve il quasi giornaliero mare di mail targate Costantini/Inguine/Mirada può intuire). Dal giovanissimo Gianluca sempre iperattivo e che non spreca mai un’occasione e un contatto arrivava un mare di roba, pagine su pagine e un’evoluzione frenetica a cui Schizzo si arrese e perse il passo. Del mare di roba rimangono intanto quattro, cinque pensieri minori. Il primo, centrale e sopra accennato, nonchè già allora autocritico, è che l’editor/e Massimo Galletti, fu sì il primo, ma perse subito il passo. Schizzo, dei lavori di Gianluca, pubblicò roba bella e convincente senz’altro, ma tutto sommato anche la più convenzionale. Le brevi oasi liriche, più convincenti nell’abbandonarsi alla deriva dei simboli e dei tracciati, qualche esperimento di concetto a marcarne l’elegante intelligenza, i racconti, piegati a sceneggiature altrui, miste ad una strada aperta per una comprensibilità maggiore, misti ad una calligrafia già senza sbavature, ma ancora timorosa delle proprie naturali sovrabbondanze, grammaticali e iconiche. Con l’approccio più deciso ai suoi due, da allora in poi, territori preferiti: la strada dell’arte pura e il lavacro dei sentieri underground, Gianluca, già coi suoi fumetti “più nuovi” in diretta su Interzona, a mischiarsi con pazzie di cuore e non con stantie interviste a dozzinali dell’intrattenimento, già da allora diceva all’Italia dei comics cose più interessanti e complesse che non le splendide titubanze giovanili che ancora io in quel biennio, con sciocca filologia, seguitavo a stampargli.

Secondo pensiero, titubanze ed intermezzo: legata alla sopraccitata “Probabilità”: c’è questa storia utile per quando la leggerete qui o se volete cercarla su Schizzo Posse. La storia è che quella pubblicata allora non era la prima versione tutta Barbieri-Costantini, ma una versione da loro poi ufficialmente preferita, ma con due pagine completamente rifatte su consiglio e indicazioni nientepopodimenoché di Vittorio Giardino. Io li ho ascoltati, loro, gli autori (e Giardino di conseguenza), ma spassionatamente preferivo la prima. Il pensiero titubanze a seguire è: ma voi ve lo immaginate uno con un’architettura fumettistica così rigida e osè come Gianluca rifare tutto più didascalicamente facendosi convincere da un maestro sì, ma tanto più classico?

Il terzo pensiero, banale ma non del tutto, è i tanti nomi altri e i tanti conseguenti modi altri in cui Gianluca ha voluto provarsi a fare fumetti. Che allora erano Scianamè, Barbieri, Lena, e che poi sono continuati con Passarella, Casali, e altri, e che sono paralleli alle mille collaborazioni e ai mille diversissimi ambiti in cui Gianluca ha sparso i suoi lavori, senza far distinzioni tra nomi celebri e no, tra arte alta e bassa, tra riviste eleganti e poverelle, con anche uno spirito un po’ imprenditore dell’esserci e far girare il nome, ma con sicuramente a fianco una curiosità degli altri e di cosa nasce piegandosi un po’ a imparare dagli uomini, essendo dove c’è vita, accumulando vita, sovrapponendo vita, in modo forse poi non così disgiunto dal suo modo di far arte e fumetti, restituendo sempre di più, accumulando e sovrapponendo visivamente la sempre più vita imparata.

E così, detto tutto questo e lontani anni da “Freethinker”, da “Juke-Box Visivo”, da “ARCan-Can-Can Hitettura”, le sue avventure più mature, più rigorose, e non a caso poi nel momento dello sfogo finale a riassumere, solitarie (ma di loro parleremo un’altra volta…), dieci anni dopo riapro Schizzo 5 e mi ritrovo davanti questa storia che vi apprestate a leggere o più probabilmente avete già letto: “Ultimo appuntamento”, 6 pagine, su rigorosa sceneggiatura (la ricordo..) di Nicola Scianamè (oè, stai leggendo? Che fine hai fatto? Ciao!). Una piacevolissima sorpresa…

Chi se lo ricordava un Gianluca Costantini così? Leggero, al servizio di una sceneggiatura fino a poco prima del finale quasi Rohmeriana, fatta di nulla, epperò storia, dove senza rinunciare ai grafismi a risplendere sono gli occhi, le acconciature, i portamenti, le espressioni dei protagonisti? Dove lo scorrere dei quadri spesso muti, o dove le parole che stanno a dialogo scenico, ma non necessariamente narrazione; sono parti di fotografie così funzionalmente metropolitane e odierne, luoghi tuttora non frequentatissimi dal fumetto, e quante volte in un disegno realistico non così efficaci, come certi sfondi di aerei e casette e scale e metro e cartelloni pubblicitari qui? E basterebbero la strada e la vetrina della prima pagina per un trattatello sapiente da studioso se a un Echino piacesse, e se un Echino volesse. E i baloon atipici di pagina 1e 4 (i punti di domanda), e 6 lui e lei (la felicità e la rabbia), e quel piccolo capolavoro che sono i coltelli a pagina 3, che ti fanno pensare a certi stilemi manga giocati alla Klimt, quando allora i manga erano imberbità e Klimt giocato così rimane a tutt’oggi una bizzarria, piazzati lì con sicurezza e naturalezza già alla prima storia edita, in quale manuale di efficaci azzardi fumettistici li vogliamo citare? Una piacevolissima sorpresa, una piacevolissima rilettura, un testo altrui valorizzato fino a dove si poteva (Nicola, anni dopo, peccato per quell’esagerato e inutile colpo a sorpresa della pistola finale…) con una sicurezza ed una calligrafia già potenti, e prepotenti.

Gianluca, tra i desideri possibili da esaudirgli chiedendomi questo scritto, mi aveva anche posto la risposta al perché allora la pubblicazione. Ora, io penso di Gianluca Costantini varie cose: penso istintivamente che sia tra le cinque, sei punte alte del fumetto italiano di ricerca dell’ultima generazione, meno amato e riconosciuto di altri e meno inserito in un quadro europeo unanime, isolato dentro al perseguimento tenacissimo di un fumetto che non ammette scorciatoie di lettura, complesso, e in cui l’eleganza è tale e ostentata, quasi da offendere e ritrarre chi non vuole accettare la sfida, ma come a dire che non accettare la sfida è sapere e credere di un fumetto monco. E che cerchi altrove dal segno le alleanze, nel senso del fare, del vivere il fumetto e l’arte, della politica e dell’anima che sono sempre dietro i concetti che si esprimono. Penso che abbia discontinuità feroci, in una produzione già vasta, ma che abbia punte altissime nella sua maturità, che quasi nessuno ha ancora accettato di sfidare criticamente. Penso che tra le tante lunghe interviste di cui c’è bisogno, a ripercorrere opera su opera i passi dei molti importanti giovani fumettisti italiani dell’ultimo decennio, quella a Gianluca sia una delle più difficili e appassionanti possibili, un’odissea a perdersi tra le architetture feroci, i segnali iconici e le domande di senso da uscirne spossati, e però carichi del disvelamento celato di un autore oltre diverso, fosse finanche un bluff; e penso che fino a che nessuno si cimenterà in quest’ impresa, non potremo che godere di un Costantini potenziale e dimezzato. Penso che prima o poi scriverò architetture pericolanti per non esimermi dal dovere morale critico di affrontare i suoi adulti lavori più pretenziosi, provando il brivido personale di andare a vedere se riesco a trovare se e che c’è, nella profondità del chip o dietro il trompe l’oeil.

Come già detto, pur ancora meno ambiziosi, da subito Gianluca si era presentato con questi fumetti costruiti di una calligrafia dai rimandi talmente antichi nella storia del mondo da non potersi poi superare che con la pre-i-storia, a di-segnare un’epoca talmente moderna da non poter far altro, ora e domani, che iniziare l’arrampicata a ricostruirli sui vari digitali del futuro prossimo. La strada era già quella, no? Netta, Segnata, della prima vignetta. E spiazzata già nella profodità.

E allora, al di là anche di tutto questo, semmai non fosse sufficiente, il motivo profondo per cui senza comprenderti appieno e senza amarti di viscere non potrei mai non pubblicarti è che non potevo, in una rivista che tentava di essere sguardi e idee per i fumetti, non fare il possibile anche a nome loro (dei fumetti) per ACCETTARE LA SFIDA.

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