
di Piero Ferrante
Ci sono immagini che restano dentro il corpo di una Nazione, incassate tra lo scheletro, quello che la tiene in piedi, spesso per inerzia, e i suoi muscoli, che, pur se logori, la muovono. Immagini che resistono all’usura dei decenni e alla banalità catodica dei tempi. Immagini ferme, immobili, solenni al punto tale da rasentare la sacralità. Immagini che non necessitano di colori, ma che sono le emozioni a dipingere, la suprema e intangibile dignità dei soggetti. Roma. Tredici giugno millenovecentottantaquattro. La bara di Enrico, il Segretario. Le mani di Sandro, il Presidente. Pochi, infiniti, secondi a contatto. Il frame di una generazione che, con il Segretario, Enrico, ovvero Berlinguer, aveva trovato protagonismo e che, d’un tratto, si sente cascare giù come un delicato vaso in vetro soffiato crepato da un masso.
Elettra Stamboulis è di quella generazione infranta, cresciuta a Mazinga Z, embrioni di consolle, polpettoni pop, paninari e Drive in. Il suo primo corteo senza genitori si consuma nel pianto di una perdita collettiva, con l’estate dell’Ottantaquattro alle porte. Il compagno Berlinguer, il compagno Pertini, un milione di altri compagni. Voci, canzoni, bandiere rosse, pugni in aria. Un carro funebre che va da Botteghe Oscure a Piazza San Giovanni. Una polaroid indimenticabile che ha trasformato, grazie alla matita di Gianluca Costantini e a Becco Giallo, nel graphic novel “Arrivederci Berlinguer”.
Un pretesto per raccontarsi. Discretamente, per lo più di riflesso, di straforo, quasi per scambio. E raccontandosi, intrecciarsi con la vicenda umana e politica del compagno Berlinguer, così familiare eppure austero, così fraterno eppure discreto. Lui, sardo dentro e sardo fuori. Coriaceo e tenace come ogni isolano. Lui, schivo e riservato, che quasi si sarebbe indispettito di fronte a tutta quella massa riunita per un sol uomo. E che avrebbe corrucciato il viso e aggrottato la fronte fino a scavarla di rughe, per far emergere i pensieri sommersi.
Un libro per chi ci crede ancora e magari ci ha creduto da sempre. Ma soprattutto una testimonianza per quanti non ci hanno mai creduto e stentano a farlo. Un libro che piange l’uomo e il politico ma che, ancor di più, tenta di perpetuarne l’esperienza politica in una forma nuova, che è al di fuori degli steccati dei dogmi imposti dalla cattedra, fuori dai canoni da cerimoniale da rispettare a tutti i costi.
Arrivederci Berlinguer, dunque, è per non dirgli addio. Per non dimenticare tutta la cristallina onestà e la stentorea purezza di un politico vero. Per rinunciare a pensare che, scomparso l’uomo, scompaia il pensiero. Per salutare sì, ma non con la lacrima del definitivo distacco, piuttosto, con il sorriso di tenerezza di chi si aspetta di reincontrare. Per alzare i pugni almeno un’altra volta, proprio come a Piazza San Giovanni, e continuare a credere che non sia tutto finito. Ecco. Questo libro è come uno di quei pugni: proteso al cielo per catturare nell’aria un frammento, estremo, di sogno. E insieme, un milione di pugni, conquistare il diritto di poterlo rimetterlo insieme, sapendo che sarà completo solo se anche gli altri lo lasceranno volare.
Elettra Stamboulis – Gianluca Costantini, “Arrivederci Berlinguer”, Becco Giallo 2013
Giudizio: 4 / 5 – casa per casa, strada per strada