di Viviana Gravano
testo per la mostra “I’m there, you are here”,
Attitudes spazio alle arti, Bologna

I disegni di Gianluca Costantini vivono sempre almeno due vite, ma spesso molte di più. In molte occasioni gruppi di attivisti e attiviste, singole persone, on line o nello spazio pubblico, si “appropriano” dei disegni e danno loro una vita e un significato nuovi. I disegni quindi più che oggetti compiuti in sé, diventano vettori di senso, ampliano la loro eco e il loro senso attraverso un riuso che ne viene fatto in maniera spontanea da altri/e, senza doverne chiedere l’autorizzazione a Gianluca stesso. Il filo del disegno si srotola e occupa strade e piazze, finisce nella rete in maniera quasi virale e diventa simbolo, ma non nel senso canonico fisso che si attribuisce a questa parola, che in genere indica un segno che corrisponde a un solo significato, ma nel senso lato di un campo di significati che si adattano alle situazioni, che lavorano su una sorta di site specific emozionale e di senso, che in ciascun contesto si esprime diversamente.
Può dunque un disegno divenire un oggetto performativo? Sì, se a “usarlo” sono degli attivisti eritrei che manifestano contro la violazione dei diritti umani nel loro paese, tenendo in mano i ritratti dei prigionieri politici realizzati da Costantini. Può un disegno divenire intervento urbano, arte pubblica? Sì, se un’immagine enorme di Zaky, giovane egiziano studente a Bologna, imprigionato e torturato perché dissidente del regime di Al Sisì nel suo paese, ricopre un’intera facciata della piazza più importante della città, piazza Maggiore, e poi campeggia sotto le due torri da sempre icona turistica bolognese. Può un disegno divenire il simbolo di battaglie di libertà sui profili di centinaia di migliaia di persone? Sì se Gianluca ritrae il giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, torturato a morte nelle carceri egizie, con in braccio il suo gattino, o ritrae Ilaria Cucchi, simbolo della lotta per la giustizia contro i soprusi della polizia italiana che ha ucciso a forza di botte suo fratello in carcere.
Credo che il termine esatto per quello che accade al lavoro di Costantini sia “appropriazione” dal basso, cioè una forma di riscrittura dell’oggetto in sé, che non passa attraverso i normali canali della postproduzione artistica, e che mette in gioco un valore che l’arte ha latente, che solo un suo uso “laico”, al di fuori delle normali strategie di mostrazione, può svelare. I disegni di Costantini navigano in libri e riviste, e possono essere esposti come in questa mostra, ma trovano anche la forza di vagare per le strade, di manifestare nelle piazze e di divenire quindi agenti, con una propria autonomia che vivono riscattandosi dal loro stesso autore.
Forse proprio per questo il lavoro di Costantini viene spesso censurato, la sua attività dichiarata non gradita in alcuni paesi dove si violano apertamente i diritti umani, perché la sua pericolosità non si limita al momento in cui i disegni vengono pubblicati, ma entra in una dinamica incontrollabile, che si espande al di là dello stesso creatore. E tutto questo in un mondo fisico e reale, divenendo bandiera e stendardo, passando di mano in mano nel senso materiale del termine, e quindi non solo in quel mondo leggero che è la rete, che certo serve alla diffusione di un certo attivismo, ma che spesso non contempla il corpo. E per chi si voglia interessare di diritti umani il corpo non può essere un “oggetto” virtuale e immateriale.