Tesi di laurea in Media e Geografia, presentata da Ines Ammirati
Relatrice Prof.ssa Alessandra Bonazzi, Anno Accademico 2021-2022
Corso di laurea in Scienze della Comunicazione, Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

INTRODUZIONE
Questa tesi vuol essere un viaggio nell’immaginario, un viaggio nell’immaginario che ha una direzione ben precisa: il futuro. “Quale futuro?” si chiederà il lettore, il nostro futuro, mio, tuo, di tutti coloro che verranno dopo di noi.
“Disegnare e scrivere sono come pensare, fanno parte della stessa dimensione” diceva il celebre fumettista statunitense Chris Ware, in un’intervista del 2020 per Rivista Studio.1
In un’epoca del cambiamento come quella che stiamo vivendo oggi, occorre allora trovare quelle nuove immaginazioni che siano in grado di guidare la nostra percezione del mondo e di mostrarci modi inediti di abitarlo. Questo elaborato è il progetto conclusivo di un percorso iniziato tre anni fa presso la facoltà di Scienze della Comunicazione e di un’indagine che non avrebbe avuto ragione di esistere se, nell’ottobre del 2019, non avessi iniziato il corso di Geografia della Comunicazione della prof.ssa Alessandra Bonazzi.
Sono sempre stata un’appassionata di storie, ma la sua materia è stata in grado di mostrarmi un modo nuovo, e sicuramente prima di allora a me sconosciuto, di vedere il modo in cui raccontiamo e osserviamo il mondo e i popoli che lo vivono. Quando poi, al terzo anno, durante il corso di Media e Geografia, abbiamo analizzato insieme i lavori di Lorenzo Pezzani e Charles Heller (Tracce Liquide – Il Caso della “Lefto-to-Die Boat”, 2014), Domenico Iannacone e Luca Cambi (Lontano dagli occhi, 2016), Andrea Segre (L’ordine delle cose, 2017), e, soprattutto, Gianluca Costantini e Francesca Mannocchi (Libia, 2019), ho capito che avevo trovato il campo d’indagine perfetto su cui focalizzare la mia tesi di laurea.
Essere un’appassionata di storie mi ha reso un’avida consumatrice di ogni tipo di narrazione: dal libro al reportage giornalistico, dalla serie tv al comic, il fumetto. In quest’ultimo media, in particolare nel graphic journalism, ho trovato un interessantissimo e potentissimo strumento di rappresentazione del reale, che, coniugando lo scritto all’immagine, è capace di veicolare i propri messaggi ad un pubblico vastissimo e di lasciare il segno nel suo lettore.
Il lavoro di Costantini e Mannocchi è, in questo senso, a mio parere, un lavoro magistrale: attraverso l’intreccio di storie personali e contestualizzazione storico-geografica, i due autori sono stati in grado di raccontare la situazione libica attraverso un punto di vista nuovo, che non è quello di chi osserva la Libia da lontano, ma di chi la abita e la vive tutti i giorni sulla propria pelle. All’interno di Libia un ruolo fondamentale è svolto dalle carte disegnate da Costantini che introducono ognuno dei capitoli e che rappresentano alcuni dei luoghi chiave del comic. Non sono le solite rappresentazioni dello spazio a cui noi lettori siamo abituati che paiono essere realizzate direttamente da Google Maps, ricche di dettagli, intrecci di strade, nomi di vie e monumenti sconosciuti; sono, invece, mappe che qualcuno potrebbe pensare “vuote” o “imprecise”, che stupiscono per la presenza di animali, simboli e pochi nomi e monumenti. Sono carte che spesso attraversano la pagina e i corpi di chi sta raccontando o serpeggiano tra le parole del testo.
Questo modo di rappresentare lo spazio mi ha colpita profondamente e mi ha spinta ad andare ad analizzare gli altri lavori di Gianluca Costantini. Ho notato che nella sua produzione lo spazio è una categoria importante e che gli spazi toccati sono spazi spesso eterotopici, gli spazi degli esclusi, indagati non sotto la lente dello sguardo dell’Occidente (lo sguardo di Medusa, come lo definisce Nicoletta Vallorani), ma attraverso la voce di coloro che li vivono. Ciò che emerge dai lavori, come anticipavo, non sono mappe puntuali, ma cartografie che tengono fuori solo gli elementi che compongono una scala del valore umano, in cui la vita dei luoghi rappresentati diviene finalmente centrale. Proprio nelle prime pagine di Terra Forma: Manuel de cartographies potentielles2 le autrici, Aït-Touati, Arènes e Grégoire, scrivono:
Come abitare questo mondo fatto di altre vite oltre le nostre, questa Terra reattiva? Le carte come le conosciamo parlano di un rapporto allo spazio svuotato dei suoi viventi, uno spazio disponibile, che si può conquistare e colonizzare. Ci occorre quindi, per cominciare, tentare di ripopolare le carte. Per fare ciò abbiamo spostato l’oggetto della notazione tentando di disegnare non più i suoli senza i viventi, ma i viventi nel suolo, i viventi del suolo, mentre lo costituiscono. Questa cartografia del vivente tenta di osservare i viventi e le loro tracce, di generare delle carte a partire dai corpi piuttosto che a partire dei rilievi, frontiere e limiti di un territorio
(Aït-Toutati et al., 2019, p. 4)3
Quanto dei lavori di Costantini si può vedere in questa citazione? E può il comic diventare a sua volta un mezzo per cambiare la nostra percezione del mondo e il modo in cui lo abitiamo? A mio parere sì, o quantomeno questo è ciò che io ho tentato di dimostrare. Ci tengo a sottolineare che questo lavoro non ha ambizioni se non quella di fare il punto e, se si riuscirà nell’intento, dare un contributo a un nuovo modo di definire il mondo e di rappresentarlo, perché le storie che si racconteranno in futuro diano voce a tutta l’umanità, nessuna persona esclusa.
Il mio elaborato è stato quindi così organizzato: punto di partenza della mia indagine è il sopracitato Terra Forma, che ambisce ad essere, come richiama il nome stesso, un vero e proprio manuale ad uso dei cartografi e non solo. Il manuale è articolato in sette capitoli, che rappresentano sette modelli o strumenti che “permettono di elaborare le carte, costituendo passo a passo un nuovo referente”: Suolo, Punto di Vita, Paesaggi Viventi, Frontiere, Spazio- Tempo, Risorse e Memorie. Così come nel volume ad ogni capitolo corrisponde un territorio reinterpretato e rappresentato attraverso i nuovi strumenti che ci avviamo ad analizzare, così io ho fatto corrispondere ai sette paragrafi di questa tesi, diversi momenti della produzione artistica di Costantini, dai suoi inizi negli anni Novanta fino ai giorni d’oggi, concentrandomi, in particolare, su quelle opere che, a mio parere, costituiscono delle cartografie potenziali, servendomi anche del supporto di quei pensatori come Bruno Latour e Gayatri Chakravorty Spivak che hanno segnato il pensiero cartografico potenziale.
Ritengo che nella produzione di Costantini il 2009, con la pubblicazione del primo numero di G.I.U.D.A – Geographical Intstitute of Unconventional Drawing Arts rappresenti uno spartiacque centrale nel suo modo di raccontare lo spazio e i soggetti che lo abitano. Questo è il motivo per cui ho deciso di dividere la sua produzione in due momenti, cui ho fatto corrispondere i due capitoli di questa tesi: la produzione “pre-cartografica” dal 1994 al 2009, in cui ancora le mappe non avevano un ruolo centrale ma è possibile comunque rintracciare già un disegno dello spazio molto particolare; e la produzione cartografica iniziata proprio con la pubblicazione di G.I.U.D.A. nel 2009, che, dopo aver raggiunto il suo apice, a mio parere, in Libia, nel 2019, è continuata fino ad oggi.
Iniziamo quindi questo viaggio nell’immaginario, alla ricerca di nuove rappresentazioni e strumenti per vedere il mondo. Buona lettura!
Dal manifesto di inguine.net5
Mi chiedo ancora ed ancora se non sai meglio mettere il punto d’un proiettile all’essere mio.
Oggi io darò per l’appunto un concerto d’addio. Vladimir Majakovskij
Distruggi-ti da tutto (ciò) che legittimo/illegittimo e sacro.
Sconsacrata l’arte ufficiale/ricca… derubala.
Arte come necessità di DNA. ·
Il trattamento della luce al limite estraneo dell’Arte, rifiuta la relativa libertà privilegiata. Sul piano estetico afferma l’espulsione dell’Omicidio Storico. Accettare di uccidere il nuovo non sostiene la rivolta. La febbre fedele suo malgrado fa male?
L’Arte, almeno, afferma l’istinto della dignità morale, che ha nome nella Bellezza.
Piangerai, ma educherai la tua visione ad uccidere e ad essere uccisa. · La nostra risposta è “Sconfiggere il mondo che la insulta”.
L’uomo dall’amaro nutrimento non esclude nulla, il sacrificio del capire lo lasciamo agli adolescenti, siamo uomini dal tratto squarciato, siamo uomini che rifiutano l’azione lucida.
Accetti tutto ciò per la tua Personale sicurezza.
C’è soltanto il vedere che è il fare. La struttura di ognuno è voltata di spalle, la contraddizione è strutturata dall’Osservatore, e il principio è un’attività avvelenata. Le cose prodotte dalla tua mente sono spiagge di parole, lunghe e di legno duro.
Ogni rafforzamento dell’immagine è un movimento di pensiero.
Percepiamo il multiforme oggettivo poeta lirico e adattiamo il nostro esprimersi ad una confessione critica.
Meditiamo l’accaduto senza dubbi sulla realtà.
L’origine dell’idea è estranea al corpo allegorico.
Convinciamoci alla funzione automatica.
Siamo un sistema circolatorio dominato dalla pelle.
Contro l’ingiustizia editoriale/vitale, per la distruzione dell’imposizione visiva. Per la distruzione dell’oscurità collettiva. Per l’aborrimento del pensiero concettuale.
Siamo l’alba della Carne
- 1 – UNA CARTOGRAFIA DEL PASSATO – La produzione pre-cartografica dal 1992 al 2009. Primi indizi di una geografia degli esclusi
- 1 – MODELLO I: IL SUOLO

Il nostro è un viaggio che inizia dal Suolo. Saldo in apparenza sotto i nostri piedi il suolo terrestre è il primo punto di riferimento del modello costruito da Terra Forma, nonché, a mio parere, uno dei più importanti. (Ri)costruire un contatto con la Terra è impossibile infatti se non partiamo proprio dalla sua componente più tangibile e, allo stesso tempo, sottovalutata. Come ricordano le autrici del volume, da sempre abbiamo la tendenza a pensare la terra come un elemento inerte e fisso, delimitato e descritto una volta per tutte da un punto di vista aereo, da una posizione di superiorità.
Limitarsi a osservare la terra dall’alto significa escludere dal nostro sguardo tutto ciò che si trova al di sotto della sua superficie e sopra le nostre teste, e, soprattutto, dimenticare il legame che c’è tra ognuno di questi elementi, noi compresi. Porsi nella posizione di osservatori, ci spinge infatti ad estraniarci dal paesaggio che stiamo guardando, a dimenticare che ne facciamo parte anche noi, che lo influenziamo e ne siamo influenzati a nostra volta.
Dopo secoli di sfruttamento indiscriminato della superficie e dei suoi abitanti, di emissione nella sua atmosfera di gas tossici, i sempre più frequenti eventi meteorologici estremi e le migrazioni che ne conseguono sono la dimostrazione che le nostre azioni hanno delle conseguenze che ci riguardano direttamente e dalle quali non possiamo più estraniarci (per quanto si tenti di farlo). Dall’epoca dell’antropocentrismo, è arrivato forse il momento di passare a quella che il filosofo Bruno Latour chiamerebbe una posizione “Gaia-centrica” e rimettere al centro ciò che fino ad adesso è stato ai margini.

Ci immergiamo quindi nelle profondità del Suolo per esplorarne ogni suo strato. Come appare la mappa che ci viene presentata in questo primo modello? Così:
Figura 2 (Fonte: Aït- Touati et a., Terra Forma, 2019, pp. 44-45)
Come spiegano le autrici:
Ciò che era esterno, l’atmosfera, è al centro improvvisamente confinato in uno spazio chiuso, ridotto, stretto. Ciò che era il più profondo si trova disposto in cerchi concentrici fino al bordo della carta. In questa maniera, l’insieme della carta si concentra su questa zona critica, sottile pellicola della Terra dove l’acqua, il suolo, il sottosuolo e il mondo del vivente interagiscono, e dove si concentrano la vita umana e non-umana e le sue risorse
(Aït- Touati et al., 2019, p. 33)
Quali sono gli effetti di questa rappresentazione? Aït-Touati, Arènes e Grégoire spiegano che sono due le conseguenze principali: in primo luogo questo tipo di cartografia permette di mettere in luce la stratificazione dello sfruttamento dei suoli, così che l’estensione dell’impresa umana sia leggibile non solo orizzontalmente ma verticalmente, nell’accumulazione delle azioni umani che hanno penetrato i suoi strati più profondi; in secondo luogo rende visibile il cosiddetto “effetto boomerang”: mettendo al centro l’atmosfera si evidenzia come tutto ciò che è disperso in essa ritorni a noi, essendo che viviamo in un sistema chiuso. Non c’è più quindi un “fuori” contrapposto a un “dentro” e non ci sono più confini che tengono. Concetto che la stessa Arènes esprime anche in Giving depth to the surface: An exercise in the Gaia-graphy of critical zones6, articolo scritto a quattro mani proprio con Bruno Latour e Jérome Giallardet:
[…] ha senso rappresentare l’atmosfera inferiore come il centro del display poiché non galleggia in uno spazio illimitato, ma è fortemente accoppiata con la superficie del suolo, dando una forte indicazione del piccolo meccanismo respiratorio da cui tutte le forme di vita respirano. Se inquiniamo l’atmosfera o la incasiniamo, non c’è altro orizzonte al quale potremmo sfuggire, contrariamente all’impressione data dalla visione planetaria tradizionale»
(Arènes et al., 2018, p. 127)
Può il comic compiere un simile movimento di ribaltamento della prospettiva? E possono i comics di Gianluca Costantini diventare lo strumento di questa Gaia-grafia?
Di fatto, se ci pensiamo, il fumetto è già di per se un media che, per definizione, possiede intrinseca una natura molto spaziale, come spiega Thierry Groensteen in Comics and Narration7 citando la traduttrice Ann Miller “Come arte visuale e narrativa [i comics] producono significato da immagini che sono in un rapporto sequenziale, e che co-esistono le une con le altre spazialmente, con o senza testo” (Groensteen, 2013, p.9) aggiungendo “I comics sono un’arte dello spazio e un’arte del tempo: queste dimensioni sono indissociabili.
All’intrinseca tabularità delle immagini aggiunge, attraverso un processo di costruzione, sia una linearità che una più coinvolgente tabularità, quella della pagina” (Ivi, p.12)
Questo carattere del comics non è estraneo a Gianluca Costantini che, anzi, crede fermamente nel potere che l’artista può esercitare con la sua arte e nella capacità dei disegni di cambiare il nostro modo di posizionarci nel mondo, come ha affermato lui stesso in un’intervista del 2019 per l’agenzia stampa turca Bianet.
Sono rimasto molto impressionato da “We must revolutionize our visual thinking” quando l’ho scoperto in una mostra di Alexander Rodchenko a Palermo. L’ho sentito come un pensiero personale. Questa frase riassume ciò che vorrei provocare e realizzare con i miei disegni. La realtà trasposta in disegni può cambiare il nostro modo di pensare. Quando disegni qualcosa, anche un vaso di fiori, compi un’azione politica. Perché tutto è arte, tutto è politico. Se disegni un vaso di fiori, non è solo la bellezza in esso, testimoni che sei in questo mondo e cosa pensi di questo mondo. Se disegni vasi di fiori tutta la tua vita, il tuo pensiero è che probabilmente è tutto ok, la politica e la guerra sono ok. Ma puoi aiutare a cambiare la posizione di qualcuno attraverso le tue azioni come artista.8
Del resto, Costantini sa bene cosa significa compiere quel passo verso un’arte militante e abbandonare il “semplice” disegno di vasi di fiori. Classe 1971, originario di Ravenna, il suo modo di disegnare cambia radicalmente negli anni Novanta quando inizia una corrispondenza con il disegnatore serbo Aleksandar Zograf, in prima linea dalla città di Pančevo. “Cercare di capire il suo lavoro, il perché di quello che faceva e soprattutto che “poteva farlo” fece incrinare le mie convinzioni di fumettista, classico.”9
È lì, in quel decennio, che si colloca infatti, secondo me, il primo movimento dell’artista verso un nuovo contatto con il Suolo. Guardiamo per esempio una tavola (figura 3) tratta da Linee di Confine10, serie di lavori ora raccolti sulla sua pagina personale Channel Draw nella sezione Decorations of existence.11
Anche in questi primi lavori, dal carattere astratto e non ancora catalogabili come lavori cartografici, Costantini racconta i paesaggi che i personaggi attraversano in una maniera che è facilmente riconducibile al primo modello di Terra Forma.

(Fonte: Costantini, Linee di Confine, 1994)

Figura 3
(Fonte: Costantini, Linee di Confine, 1994)
Cielo e mare si uniscono in questa rappresentazione in cui diviene sempre più difficile distinguere viventi (gabbiani, pesci, piante) da non viventi (mare, cielo, onde). Il paesaggio si fonde e gli strati si confondono tra loro, costringendo l’occhio del lettore ad un’immersione nel paesaggio naturale che è totalizzante e avvolgente.
Stessa sensazione, se non addirittura maggiore, è quella che suscita la lettura di due tavole (figura 4 e 5) di un’opera successiva, Animalingua12, storia che segue il racconto di una donna, Varvara, e dei suoi amori tragici.
Anche in quest’opera ho notato un fortissimo contatto con la Terra intesa nella sua totalità di viventi e non viventi. Sono infatti moltissimi i richiami al paesaggio e ai suoi viventi: “lancio uno sguardo al cielo stellato, uno sguardo ai miei ricordi” e ancora “lunghe passeggiate con Andrej, lungo il sentiero che conduce al villaggio, fino all’altura del ‘demone incatenato’ dove si contempla con un’ampia veduta il mare, o su nel boschetto dietro la villa. Camminavamo accompagnati dal mormorio delle foglie che provocava, in noi, una dolce vertigine”.
Testo che accompagna le due tavole sopracitate in cui cielo e terra, viventi e non viventi paiono quasi fondersi tra loro e dove i confini tra i due divengono ancora più sfumati.

(Fonte: Costantini, Animalingua, 1996)

(Fonte: Costantini, Animalingua, 1996)
- 2 – MODELLO II: PUNTI DI VITA

Nel primo passaggio ci siamo immersi nel Suolo per riscoprirne la pesantezza e la sua pienezza, abbiamo trovato una materia viva in continuo movimento più che una superficie libera da percorre e da conquistare.
Figura 6 (Fonte: Aït-Touati et al., Terra Forma, p.50)
Nel primo passaggio ci siamo immersi nel Suolo per riscoprirne la pesantezza e la sua pienezza, abbiamo trovato una materia viva in continuo movimento più che una superficie libera da percorre e da conquistare.
Il secondo modello è, invece, “un tentativo di rappresentare il mondo a partire da un corpo animato, punto vivo o ‘punto di vita’, secondo la bella formula di Emanuele Coccia, per tentare di delineare una carta di spazi-corpo attivi; non degli spazi senza corpo né dei corpi senza spazio” (Aït- Touati et al., 2019, p. 51)
Occorre ripartire, quindi, dalla vita o, meglio ancora, da un punto di vista che, come sottolineano le autrici, “non è uno spazio immaginario: è un territorio, il territorio di qualcuno con i suoi collegamenti e le sue singolarità. È il territorio di vita che qualcuno o qualcuna andrà a disegnare”. (Ivi, p.56)
Noi siamo i territori che abitiamo e i paesaggi che attraversiamo, così come noi cambiamo loro, loro cambiano noi. Come nel precedente paragrafo abbiamo ribaltato la terra, mettendo al centro ciò che prima era posto ai suoi margini, in questo modello andiamo a rimettere al centro lo strettissimo rapporto tra corpi e spazi occupati. Non solo, diamo centralità a quei punti di vita cui spesso la parola è stata tolta e le cui storie sono state raccontate da altri.
Obiettivo è cioè quello di annullare quel processo che la filosofa Gayatri Chakravorty Spivak, massima esponente degli studi postcoloniali, definisce di “forclusione dell’informante nativo”13 e che consiste nel paradosso di parlare dell’Altro unicamente per rafforzare l’Io del Soggetto dominante. Occorre cioè superare quello che, similmente, Nicoletta Vallorani in Nessun Kurtz: Cuore di tenebra e le parole dell’Occidente14, chiama lo “sguardo di Medusa”, strategia classificatoria con cui il Soggetto dominante (occidentale) produce immagini gestibili dell’Altro nella forma dello stereotipo al fine di comprenderlo. In pratica, una semplificazione che non permette di raccontare nella totalità la storia dell’Altro, né di dargli la parola per raccontarla in prima persona.
Se c’è però una cosa che il comic sa fare bene, è dare visibilità alle persone, ai nostri punti di vita, come sottolinea anche Daniel Worden in The Comics of Joe Sacco: Journalism in a Visual World15
La maggior parte dei problemi nel raccontare le storie di immigrati senza documenti deriva da questo semplice, decisivo fatto: documentazioni fotografiche o audiovisive sono difficili da produrre, così come potenzialmente pericolose per i soggetti che si sforzano di rappresentare e dare voce. Un racconto giornalistico della storia di un immigrato senza documenti in forma di fumetti invita quindi inevitabilmente il lettore a occuparsi di questioni di visibilità (Worden, 2015, p.158)
Nel 2004, quell’interesse per le vite e il ritratto che si era già visto nel sopracitato Animalingua (1996) e in Four Portraits of Wild Boys16 (1998), muta, divenendo più militante.

(Fonte: Costantini, Emmanuel Murangina #rwanda, 2004)
In Emmanuel Murangina #rwanda (2004), pubblicato su Channel Draw nella sezione Political Comics17(figura 7) , le parole drammatiche di Murangina si scrivono direttamente sulla sua pelle, sul suo volto.
“La mia famiglia è stata sterminata. Avevano sparato anche a me, ma sono solo svenuto e mi sono risvegliato sotto una montagna di cadaveri. La stanza dove li accumulavano era proprio questa. Ci torno spesso, perché mi sento più a mio agio tra i morti che tra i vivi”

(Fonte: Costantini, Mafia, 2006)

(Fonte: Costantini, Mafia, 2006)
La storia di un paese si scrive sui corpi di chi lo abita e questo Costantini lo sa bene, come dimostrato anche in Mafia18, tavola dell’inserto speciale della rivista InguineMAH!gazine distribuito al Comicon di Napoli del 2006 (figura 8 e 9).
Il corpo stesso del fumettista si fa portatore di punti di vita. Dall’occhio al piede, dalla spalla al ginocchio, questo corpo si compone di nomi e di storie che nessuno vuole ricordare, perché sono le storie di pregiudicati uccisi dalla mafia.
Ogni vita racconta una storia dell’Italia che merita di essere portata alla luce e che compone la geografia di ogni abitante del paese, come Costantini ci dimostra in quest’opera.
Questo è l’obiettivo dell’artista e del cartografo potenziale: raccontare il mondo e influenzarlo, mostrarlo nelle sue sfumature di grigio piuttosto che in bianco e nero.
L’arte influenza la società, da sempre, è una visione naif quella che vuol far credere che gli artisti vivano in un loro mondo. Il nostro compito, anzi direi dovere, è proprio quello di cercare di cambiare le regole grazie a una visione differente. Mi interessa un’arte che interagisce con la comunità, un’arte che condivide e non impone. Per quanto mi riguarda l’arte è un modo per navigare nel disagio, nel conflitto, nell’aiuto all’altro, un modo per lavorare con lo spazio politico e civile. L’arte mi aiuta a non guardare dall’altra parte.19 (Costantini, 2021)
- 3 – MODELLO III: PAESAGGI VIVENTI

“[…]lo spazio è il corpo non anatomico dei viventi; la carta è il territorio, perché la percezione è un mondo, un territorio; una carta non è mai carta dello spazio ma carta dei corpi animati; ogni essere vivente è insieme indigeno (produttore del suo terreno di vita) e migrante (occupante senza sosta delle frontiere e dei terreni di vite vicine). Noi saremo, pertanto, delle traiettorie erranti, instabili, generanti costantemente il loro spazio abitandolo” (Aït- Touati et al., 2019, p.81)
Figura 10
Figura 10 (Fonte: Aït-Touati et al., Terra Forma, p.74
Entriamo nel vivo del lavoro geografico con questo modello che ci racconta il passaggio da un paesaggio senza vita a un “paesaggio di vita” e di vite, in cui un elemento non può esistere senza l’altro. Ciò che si viene a creare è quindi un paesaggio di traiettorie che si incrociano, di punti di vita che si muovono avvicinandosi e allontanandosi, ognuno influenzando con il proprio percorso quello degli altri. Abbandoniamo definitivamente le coordinate geografiche e lo spazio euclideo del GPS per descrivere uno spazio fatto di legami e intrecci.
Seguendo queste linee sinuose fino al mare comune […] vediamo disegnarsi una nuova topografia: gli spostamenti disegnano dei micro-territori divisi, i tragitti si mischiano, si agganciano fino a disegnare un territorio complesso e ricco.[…] Invece di pensare lo spazio in termini di circolazione, di flusso di persone da gestire, il modello suggerisce di disegnare degli spazi altri dove si delinea potenzialmente una nuova topologia di spazio pubblico.
(Ivi, pp. 78-79)
Una volta abbandonate le coordinate geografiche e le mappe fatte di confini arbitrari, ci troviamo a cercare di riorientarci con nuove mappe che, come le autrici di Terra Forma sottolineano, partono proprio dal movimento. Occorre iniziare a tracciare lo spostamento partendo da una zona detta “preferenziale”, come può essere l’abitazione, per arrivare alle diverse aree d’azione legate alla comunità (famiglia, amici, ecc.). Successivamente, un elemento fondamentale da considerare è il tipo di spostamento dominante del soggetto osservato, dominante in funzione della ripetitività dell’azione, della sua durata o dal fatto che condiziona la sussistenza del soggetto. Infine, posizioniamo quindi i diversi punti di vita, umani e non umani, attorno a una matrice comune su cui sono annotati i punti d’approdo più comuni, fondamentali in tutti gli spostamenti. Di conseguenza, “passiamo così dal punto di vista all’area d’azione, dall’occhio al corpo, dallo sguardo al gesto, dal punto fisso al tragitto, di modo che il paesaggio divenga il risultato sempre in attualizzazione delle azioni dei viventi piuttosto che un arredamento.” (Ivi, p. 77)
La narrazione dello spostamento non è estranea a Gianluca Costantini che, a partire dal 2009, inizia a dare crescente importanza alla rappresentazione cartografica: è proprio in quell’anno che nasce infatti G.I.U.D.A. – Geographical Institute of Unconventional Drawing Arts, rivista che, tra il 2009 e il 2016, anni della sua pubblicazione, “Insegue i luoghi sulle cartine, sapendo che la mappa non è il territorio, ma è una sua rappresentazione e che a partire dalla cartografia si stabilisce il nostro posto sul mondo e lo spazio che a livello simbolico occupiamo”.20
Anche negli altri suoi lavori di quel periodo vediamo l’uso frequente di cartografie che sicuramente poco hanno a che vedere con il disegno cartografico puntuale del GPS, che poco si interessano di confini nazionali, ma che tentano piuttosto di far trasparire il più possibile il dato umano/vivente che vi si cela dietro.
Guardando lavori come Fuggire da un hotspot21 (2016) (figura 11) o Libia22 (2019) (figura 12), si può rivedere molto del modello proposto da Aït-Touati, Arènes e Grégoire: i soggetti rappresentati attraversano o sono attraversati dalle cartografie, cartografie fatte di punti di interesse, luoghi che segnano il passaggio dei migranti. Nessuna di queste carte ha interesse nel rappresentare i confini della carta politica; intendono tracciare delle linee, dei solchi immaginari ma non troppo, disegnati passo passo dalle vite che attraversano i luoghi delle migrazioni.

(Fonte: Costantini, Fuggire da un hotspot, 2016)

Figura 12
(Fonte: Costantini et al., Libia, 2019)
Rimane quindi una domanda a cui rispondere: “Se la nozione di appartenenza a un territorio è da rivedere, come pensare politicamente la composizione, la disposizione dei nostri spazi di vita, dei nostri abitati? È la vecchia questione delle frontiere a dover essere affrontata”. (Ivi, p.81)
- 2 – UNA CARTOGRAFIA DEL PRESENTE CHE GUARDA AL FUTURO – La produzione cartografica dal 2009 a oggi. Da G.I.U.D.A a Bucha
- 2.1 – MODELLO IV: FRONTIERE

Figura 13
(Fonte: Costantini, Border is just a drawing, I can cancel it.
Dove finisce l’immaginazione e dove inizia il reale? Se i confini sono davvero solo un disegno, cosa succede se li distorciamo?
Allontanandosi da quella visione tradizionale che vede i confini come spazi che limitano i movimenti e intrappolano, con il modello Frontiere si va a creare una paesaggio senza confini “un nastro di Moebius, senza inizio né fine, senza interno né esterno” continuo ma eterogeneo. Di più:
Un anti-atlas perché non ci sono, in fondo, delle carte, dei viventi e un mondo separato, ma delle messe in prospettiva della medesima realtà, questa terra/carta/insieme di viventi che affrontiamo ogni volta da un punto di vista differente: dal punto di vista dell’inclusione monadologica del mondo dal vivente, dal punti di vista del vivente e, qui, dal punto di vista della frizione tra i diversi viventi.
(Aït- Touati et al., 2019, p. 100)23
Questo è lo spazio che, a mio parere, è descritto da Gianluca Costantini in quello che è forse il suo migliore lavoro dal punto di vista cartografico: Libia, graphic novel scritto nel 2019 a quattro mani con la giornalista e scrittrice Francesca Mannocchi. Il libro racconta le sei storie raccolte dalla giornalista nel corso delle sue esperienze nel paese e raccontano la quotidianità di chi la Libia la vive o anche solo la attraversa. Sullo sfondo delle sei interviste, Costantini disegna un paesaggio fatto di linee che si intrecciano con i corpi raccontati, di elementi viventi e non-viventi, in cui centrali non sono più i confini, ma i movimenti compiuti lungo queste linee.
In Terra Forma le autrici chiedono, per la realizzazione del quarto modello, di identificare e classificare morfologicamente i tipi di frontiere di un territorio, distinguendo tra Limes, le frontiere conosciute, Confini, che disegnano mondi sconosciuti e Milieux, che si situano tra i due estremi e corrispondono ai territori d’interfaccia. Ed ecco che Costantini in Libia presenta questi tre tipi diversi di frontiere: riproduce frontiere e geografie conosciute (figura 14), e altre meno conosciute, quelle attraversate dai singoli corpi (figura 15), e, infine, disegna frontiere che si situano nel mezzo, il Mediterraneo, quel luogo in cui, come vuole il principio della globalizzazione, si incontrano il mondo fantasma grazie al quale viviamo, spazio non delineato privo di diritti, e il mondo in cui viviamo, spazio dei diritti e dell’illusione (quella di essere autonomo per le risorse)24 (figura 16).
“L’effetto che volevo” chiarisce lo stesso fumettista in un’intervista per Lo Spazio Bianco “è che all’interno del caos della situazione si percepisse che io volevo dare più attenzione e amore possibile alle persone, ai corpi di tutte le persone ritratte. Perché la Libia è proprio il loro insieme.”25

(Fonte: Costantini et al., Libia, 2019)

(Fonte: Costantini et al., Libia, 2019)

(Fonte: Costantini et al., Libia, 2019)

Il Mediterraneo è un luogo molto particolare in cui si incontrano due spazi: il mondo in cui viviamo, e il mondo grazie al quale viviamo. Non solo, è come se in quello spazio si incontrassero anche due tempi differenti: da un lato il presente, dall’altro il passato coloniale, portatore di nuove crisi, come la crisi climatica.
Figura 17 (Fonte: Aït-Touati et al., Terra Forma, p.120)
Sembra, insomma, che i fatti che riguardano il Mediterraneo, e tutto il mondo che lo circonda, siano difficili da immaginare su una linea del tempo, perché passato, presente e futuro si incrociano e mescolano tra loro. Questo è il motivo per cui studiose come Aït-Touati, Arènes e Grégoire propongono un nuovo modo di pensare le due categorie di spazio e tempo.

Ispirate alle modificazioni dello spazio operate da fenomeni stagionati, climatici o geologici, le autrici suggeriscono un modello spazio-tempo a spirale che si arrotola su se stesso, al fine di “visualizzare le corrispondenze, le coincidenze e le frizioni tra spazio e tempo, al fine di passare alla pianificazione alla città dei tempi potenziali. […]Al posto di un quadrante universale, il modello combina e sovrappone dei tempi diversi – ciò che la musica contemporanea chiama poliritmia”26 (figura 18)
Figura 18 (Fonte: Aït- Touati et al., Terra Forma, p.123)
Questo tipo di traduzione non risulta difficile nel fumetto, poiché, come ha affermato lo stesso Joe Sacco in un’intervista per la rivista Mother Jones:
Per me, un vantaggio del comic journalism è che posso ritrarre il passato, cosa che è difficile da fare se sei un fotografo o un filmmaker. La Storia ti può far realizzare che il presente è solo uno strato di una storia.27
Occorre andare a sfogliare tutti gli strati di una storia, elementi umani e non umani, sovrapporre gli spazi e i momenti storici. Sovrapposizione che ho rivisto in particolare in una tavola del già citato Libia (figura 19).

(Fonte: Costantini et al., Libia, 2019)
Lungo questa spirale Costantini inserisce un insieme di volti e oggetti, i tasselli che compongono l’intricata rete che alimenta il traffico di migranti.
Soldi, armi, vite: nel complicato meccanismo di sfruttamento di vite, è difficile puntare il dito sul singolo; è il sistema che gli dà fondamento e nutrimento, motivo per cui ritengo che questa illustrazione sia il perfetto esempio di una cartografia capace di mostrare la complessità di un fenomeno ponendo in relazione sullo stesso piano tutti gli elementi che lo caratterizzano.
Ciò che spaventa, in questo presente che non sa ancora di essere un futuro in crisi (o forse sta iniziando a realizzarlo), è la volontà di rimanere ancorati a un sistema che sta iniziando a mostrare le prime crepe.
Se, come scrivono le autrici di Terra Forma, gli umani e i non umani fanno muovere gli spazi e lo spazio-tempo è in movimento, cosa stiamo aspettando a muovere i primi passi per cambiare il futuro? È questo l’interrogativo che lo stesso Costantini ci propone in Una. Per tutti. Non per pochi., serie esposta alla Triennale di Milano e realizzata in occasione del Festival dei diritti umani di Milano (figura 20).
“What if, instead of accepting a future of climate catastrophe and private profits, we decide to change everything?”28

(Fonte: Costantini, Climate change, 2018)
- 2.3 – MODELLO VI: RISORSE

È chiaro, cambiare non è facile, fa paura e quindi, se si riesce, si cerca di evitare il cambiamento o, comunque, di ritardarlo il più possibile. Ma ormai il tempo dell’attesa è finito, occorre cambiare rotta, e subito: passare da un sistema basato sulla conquista di specifiche zone e sul loro sfruttamento fino all’estinzione delle risorse, a un sistema in cui la parola d’ordine è contatto e in cui anche le zone sfruttate possano trovare nuova vita.
Figura 21 (Fonte: Aït-Touati et al., Terra Forma, p.146)
Come spiegato in Terra Forma, attualmente siamo abituati a contrapporre alle zone di sfruttamento intensivo, le cosiddette “bolle” nel territorio (zone industriali, zone d’agricoltura intensiva, zone di pesca, ecc.) a “zone di spazio fantasma”, zone invisibili, non più connesse alle risorse che prima gli davano forza e, quindi, vuote, cui si unirà poi la bolla, una volta esaurite tutte le risorse.
Sottolineano Aït-Touati, Arènes e Grégoire siamo “biased da una filosofia della conquista e dello sfruttamento, di servizi attinti in una natura inerte e disponibile, di presa di terre e divisione in zone, riflettenti un’incapacità ad abitare la terra con gli altri viventi”.29
Da cosa ripartire quindi? Ciò che propone il modello “Risorse” è di iniziare a cercare tra le zone fantasma nuove micro-risorse nascoste, stabilire un nuovo intreccio tra territori sfruttati e nuove sorgenti vive.
La nozione di abitabilità deve essere ridefinita. Non designa più la capacità di un luogo o di un territorio di accogliere i viventi ma anche la potenzialità delle entità in presenza di fare mondo insieme tramite le loro interrelazioni; scambi, cooperazione, ibridazione, aggiunta… lo spazio che noi rappresentiamo nelle nostre carta sarà la scena dove si giocano queste alleanze, il luogo dell’incontro.
(Aït- Touati et al., 2019, p.155)
Riprendendo in mano il lavoro di Joe Sacco, analizzato attraverso gli occhi di Worden in The Comics of Joe Sacco, scopriamo che anche il fumetto si sta muovendo in questa direzione, attraverso la denuncia e il racconto di quelle che Sacco definisce “Sacrifice Zone” e che assomigliano molto alle zone fantasma descritte dal modello di Terra Forma.
Tracciando posizioni geograficamente distinte in cui sono emersi modelli simili di condizioni intollerabili – e evidenziando i momenti di resistenza all’interno di ogni comunità – Hedges e Sacco incoraggiano un senso di solidarietà tra i lettori politicamente impegnati, soprattutto quelli che possono essere in posizioni strutturalmente simili di emarginazione economica o politica. In modo piuttosto esplicito, Hedges e Sacco invitano il lettore ad agire accanto ai soggetti rappresentati da parte loro per affrontare le cause sottostanti che limitano l’accesso all’apparato istituzionale dello Stato, portano a disparità di status socioeconomico e di potere politico, e comportano distruzione ambientale e abusi delle libertà civili.
(Worden, 2015, p.123)
Anche Gianluca Costantini, conoscitore e ammiratore del lavoro di Joe Sacco, intende incitare i suoi lettori ad agire, a volgere lo sguardo verso quelle zone fantasma che si muovono nelle nostre città. Le zone fantasma a cui faccio riferimento hanno un nome e un corpo del tutto umano; sono i nostri compagni di scuola, i nostri amici del calcetto, i colleghi del lavoro: italiani in tutto e per tutto ma stranieri per lo Stato, fantasmi senza diritti, così come li racconta la scrittrice Igiaba Scego in Stranieri nel nostro paese (2016)30, lavoro pubblicato per la rivista Internazionale (figura 22)

Figura 22
(Fonte: Costantini et al., Stranieri nel nostro paese, 2016)
O ancora, sono quei migranti che, dopo viaggi lunghissimi, arrivati qui si trovano costretti a dormire per terra, come in Il cuore freddo di Ravenna31 (2015), reportage a fumetti realizzato sempre per Internazionale (figura 23).

(Fonte: Costantini, Il cuore freddo di Ravenna, 2015)
Ripartire dalle connessioni, dalla costruzione di una rete di relazioni diviene sempre più necessario. Solo inserendo queste persone, i nostri punti di vita, nel nostro tessuto sociale potremo infatti accorgerci davvero di quali risorse possono rappresentare per tutti.
Citando Terra Forma “Queste risorse hanno bisogno di spazio per svilupparsi; i territori sfruttati hanno quanto loro bisogno di nuove sorgenti per riconfigurarsi, collegarsi alla vita del resto del territorio. La sfida è allora collegare i paesaggi sfruttati e le rovine alle sorgenti vive e ai viventi. La forza dell’interbioma, costituito di punti morti e di future risorse, risiede meno nei punti che nei legami.”32
- 2.4 – MODELLO VII: MEMORIE
Siamo giunti così alla fine di questo viaggio nell’immaginario (che poi così immaginario non è). Abbiamo provato a destrutturarlo, scomponendolo in tutte le sue sfaccettature, e ora ci troviamo davanti alle sue rovine.
“Tradizionalmente, le rovine segnalano un racconto che ha raggiunto la sua fine, un’accumulazione di tracce che non hanno più senso. Ma potremmo anche vedere le rovine come inscritte in un movimento andante dalla costruzione alla fabbricazione di un suolo”33 ci raccontano Aït-Touati, Arènes e Grégoire nel loro ultimo capitolo, che continuano “Su queste rovine occorre immaginare una via possibile, progettare un futuro abitabile, non nel senso cartografico classico di una proiezione nello spazio, ma nel senso di una proiezione del tempo, al fine di definire, pazientemente, una bussola politica fatta di macerie di una stupefacente collezione di fossili”.34
Questo settimo e ultimo modello più degli altri chiede al lettore un lavoro di immaginazione: occorre vedere le rovine non come fine, ma come radici di un nuovo futuro, che penetrano nel suolo sotto i nostri piedi per creare nuovi legami, memorie vive. E come si creano queste memorie? Un primo modo è attraverso le immagini che produciamo del mondo, magari proprio attraverso il fumetto. Anzi, come sottolinea Charles Acheson in Expanding the role of the gutter in nonfiction comics: forged memories in Joe Sacco’s Safe Area Gorazde35:
“A causa della lettura multidirezionale richiesta con pannelli sequenziali, il comic medium possiede l’abilità di forgiare ricordi su eventi specifici. Attraverso questa capacità, il fumetto espande il ruolo del testimone traumatico36, creando una comprensione più accessibile delle qualità surreali dell’esperienza traumatica.” e “con i ricordi forgiati, i lettori si servono delle loro emozioni e ricordi come mezzo per avvicinarsi all’esperienza traumatica degli altri”37.

(Fonte: Costantini, Freedom for Patrick Zaky, 2020)
Anche Gianluca Costantini nel corso della sua carriera con i suoi lavori ha saputo incidere nella memoria dei lettori eventi traumatici della nostra storia; penso per esempio alla detenzione dell’attivista egiziano Patrick Zaki, studente all’Università di Bologna, la cui storia ha fatto il giro dell’Italia proprio grazie anche al ritratto di Costantini Freedom for Patrick Zaki (2020)38 (figura 24)
Penso anche al più recente We don’t exist! Bucha is hell.39, reportage pubblicato il 12 marzo 2022 che racconta il massacro di civili da parte dei russi nella città di Bucha in Ucraina.

(Fonte: Costantini, We don’t exist! Bucha is hell, 2022)
Sui fotogrammi del video pubblicato dal sito indipendente russo Meduza, l’artista ritrae con il suo stile unico i corpi massacrati e i volti di chi invece continua a sopravvivere tra quelle rovine (figura 25). Parliamo di donne, uomini, bambini, che continuano a (r)esistere e che, un giorno, si spera, sapranno ricostruire un futuro a partire da quelle macerie.
L’incontro tra fumetto e fotografia è ciò che, a mio parere, aumenta ulteriormente l’impatto che quest’opera può avere sul lettore. Come molte delle opere che sono state citate nel corso di questa tesi, anche Bucha is hell, è un grido, un manifesto che invoca il diritto all’esistenza, che chiede l’attenzione del mondo, di non voltarsi dall’altra parte.
Così, attraverso il racconto di Bucha, Costantini delinea la memoria di un territorio, un territorio fatto sì di macerie e cadaveri, ma anche di tanti punti di vita che non meritano di diventare rovine a loro volta. Del resto, è proprio lo stesso Gianluca Costantini, in un’intervista del 2021 per il blog Dawn- Democracy for the Arab World Now, ad affermare:
Un artista deve rispondere con ciò che può fare: imporre una nuova immaginazione, un nuovo modo di vedere e agire. Per ciò che riguarda la mia esperienza personale, il disegno è molto potente, colpisce le persone che lo guardano come una freccia. Disegnare è molto diverso dal fare una foto. Con un disegno puoi descrivere la realtà ma, per quanto tu sia fedele, sarà diverso. Anche se tratteggi una foto, il disegno sarà diverso da ciò che il fotografo voleva dire. Disegnare è molto soggettivo; riguarda il modo di vedere dell’artista; riguarda il suo ricordo. Quando disegni il ritratto di una persona, li guardi e guardi il foglio in basso. Ciò che disegni è già un ricordo.40
CONCLUSIONI
Rimane quindi una sola domanda: può Gianluca Costantini essere quell’architetto-coreografo a cui le autrici di Terra Forma dedicano il loro lavoro?
L’architetto-coreografo si interessa alle circolazioni dei viventi; vede le rovine come straordinari serbatoi d’uso da inventare, non concepisce lo spazio al di fuori delle forme di vita che lo costituiscono, lo percepiscono e lo fabbricano.41
(Aït- Touati et al, 2019, p. 14)
Siamo partiti dalle rovine di Pančevo per arrivare a quelle di Bucha, in un viaggio nell’immaginario che, come ci eravamo promessi, parla molto di futuro. Passo dopo passo, paragrafo dopo paragrafo, abbiamo analizzato il percorso artistico che ha attraversato Gianluca Costantini, confrontandolo con i modelli proposti da Terra Forma.
Nel capitolo 1 abbiamo visto come possiamo rintracciare una tensione del fumettista verso l’indagine cartografica fin dai suoi primi lavori: Linee di Confine, Animalingua, Emmanuel Murangina #rwanda, Mafia e Fuggire da un hotspot. È in queste opere infatti che rivediamo quello stretto rapporto con il Suolo e i soggetti, i Punti di Vita, che suggeriscono i primi tre modelli di Terra Forma. Il capitolo si interrompe proprio nell’analisi di Libia, il migliore lavoro cartografico di Costantini, in cui i riferimenti ai modelli di Aït-Touati, Arènes e Grégoire sono più manifesti e che, non a caso, nasce dopo un’indagine geografica durata 7 anni, dal 2009 al 2016, iniziata con G.I.U.D.A. – Geographical Institute of Unconventional Drawing Arts.
Nel capitolo 2 abbiamo quindi indagato cosa succede alle cartografie di Costantini dopo quella svolta rappresentata da G.I.U.D.A e abbiamo cercato, scendendo più in profondità, cosa significa disegnare cartografie potenziali, cartografie capaci di trasformare il nostro modo di percepire il mondo, in cui Frontiere, Spazio, Tempo e Rovine perdono il loro significato per acquisirne nuovi.
In sintesi, credo che sì, abbiamo risposto a quelle domande da cui era partita quest’indagine: non solo i lavori di Gianluca Costantini sono stati in grado di mostrarci un nuovo modo di immaginare e rappresentare il mondo e i popoli che lo abitano, ma il confronto con il lavoro di artisti come Joe Sacco o teorici del fumetto come Acheson, Groensteen e Worden, ha confermato anche che il comic è un media più che adatto a guidare il lettore in un’indagine del reale.
Terminato quindi questo breve, seppur denso, elaborato, non posso far altro che sperare, come già annunciato, di aver dato così un contributo a un nuovo modo di definire il mondo e di rappresentarlo: un modo inclusivo, che parli con tutte le voci che lo abitano, nessuna esclusa; un modo di guardare al mondo che non sia imposto ma composto in totale sinergia e che, soprattutto, riconosca tutte le sue sfaccettature e sfumature di colore.
Del resto, come Costantini ci ricorda nel manifesto di inguine.net, questo modo può partire solo da noi, perché solo noi Siamo l’alba della Carne.42
NOTE
1 Tammaro G., “Chris Ware e la sfida di scrivere fumetti”, in Rivista Studio, 24 agosto 2020, URL: https://www.rivistastudio.com/chris-ware-intervista/#:~:text=E%20cio%C3%A8%3A%20pensare%20prima%20di,fanno%20parte%20della%20stessa%20dimensione
2 Aït-Touati F., Arènes A., Grégoire A., Terra Forma: Manuel de cartographies potentielles, Paris, B42, 2019
3 Tutte le citazioni presenti nel testo in lingua straniera sono state tradotte da me
4 Ivi, p.18
5 Costantini G., Manifesto di inguine.net, 2000: https://www.channeldraw.org/2000/08/14/manifesto-di-inguine-net/
6 Arènes A., Giallardet J., Latour B., The Anthropocene Review, 2018, vol.5 (2), pp.120-135
7 Groensteen T., Comics and Narration, University Press of Mississippi, 2013
8 Kuşçuoğlu V., “If you love a place you also love people fighting for freedom there”, in Bianet English, 4 marzo 2019, URL: https://bianet.org/english/human-rights/206053-if-you-love-a-place-you-also-love-people-fighting-for-freedom-there
9 Provinciali A., “Fumetto e impegno politico: un rapporto irrinunciabile oggi più che mai”, in Il Mucchio Selvaggio n°708-709 luglio agosto, 2013, Roma
10 Costantini G.; Scianamè N., Linee di Confine, pubblicato in Schizzo n°6 – nuova serie , Ed. ArciComics Cremona, 1994
11 Costantini G., Decoration of existence, URL: https://www.channeldraw.org/category/decoration-of-existence/
12 Costantini G., Animalingua, pubblicato in Schizzo Presenta n.1, Centro Andrea Pazienza, Cremona, 1996
13 Cfr. Spivak G.C., Can the Subaltern Speak?: Reflections on the History of an Idea, Columbia University Press, 2010
14 Cfr. Vallorani N., Nessun Kurtz: Cuore di Tenebra e le parole dell’Occidente, Mimesis, 2017
15 Worden D., The Comics of Joe Sacco: Journalism in a Visual World, University Press of Mississippi, 2015
16 Costantini G., Four Portraits of Wild Boys, 1998, URL: https://www.channeldraw.org/1998/02/11/four-portraits-of-wild-boys/
17 Costantini G., Emmanuel Murangina #rwanda, su Channel Draw, 2004, URL: https://www.channeldraw.org/2004/08/04/emmanuel-murangina-rwanda/
18 Costantini G., Mafia, raccolto in Fedele alla Linea: il mondo raccontato dal graphic journalism, BeccoGiallo Editore, 2017. Pubblicato originariamente in inguineMAH!fia, Associazione Mirada, 2006; Animals, n°23, rivista mensile, Coniglio Editore, 2011
19 Corbo F., “Un’arte che condivide”, in Amnesty, trimestrale dei diritti umani, numero 2, aprile 2021
20 Stamboulis E., G.I.U.D.A, https://www.channeldraw.org/2021/02/24/g-i-u-d-a-la-rivista/
21 Costantini G., Fuggire da un hotspot, 2016, in Fedele alla linea, BeccoGiallo Editore, 2017; pubblicato in Pagina99, n°25, rivista settimanale, News 3.0 Spa, luglio 2016; Narcomafie, n°5, rivista bimestrale, GruppoAbele, 2016
22 Costantini G. e Mannocchi F., Libia, Feltrinelli Editor, Milano, 2019
23 Aït-Touati et al., op.cit., p.100
24 Bonazzi, 2022
25 Cirri E., “Al servizio della storia e della verità: intervista a Gianluca Costantini”, in Lo Spazio Bianco, 23 dicembre 2019, URL: https://www.lospaziobianco.it/al-servizio-della-storia-e-della-verita-intervista-a-gianluca-costantini/?fbclid=IwAR2HmBEclTCyLwY1adqXSySKCzc4Rqq3Q50cyRfhwwZZg9wfC5r6annfMu8
26 Aït- Touati et al., op.cit., p.122
27 Gilson D., “The Art of War: An Interview with Joe Sacco”, in Mother Jones, Luglio/Agosto 2005, URL: https://www.motherjones.com/media/2005/07/joe-sacco-interview-art-war/
28 Costantini G., Climate change – Festival dei diritti umani, URL: https://www.channeldraw.org/2018/03/21/climate-change-festival-dei-diritti-umani-milano/
29 Aït- Touati et al.,op.cit, p.154
30 Costantini G., Scego I., Stranieri nel nostro paese, in Internazionale, 27 novembre 2016, URL: https://www.internazionale.it/notizie/gianluca-costantini/2016/11/27/costantini-scego
31 Costantini G., Il cuore freddo di Ravenna, in Internazionale, 22 dicembre 2015, URL: https://www.internazionale.it/reportage/gianluca-costantini/2015/12/22/ravenna-profughi-pachistani-fumetto
32 Aït- Touati et al., op.cit., p.155
33 Aït- Touati et al., op.cit., p.169
34 Aït- Touati et al., op.cit., p.173
35 Acheson C., “Expanding the role of the gutter in nonfiction comics: forged memories in Joe Sacco’s Safe Area Gorazde”, in Studies in the Novel, vol. 47 No.3 (Fall), 2015, pp.291-307
36 Ivi, pp.291-292
37 Ivi, p. 293
38 Costantini G., Freedom for Patrick Zaki, 2020, URL: https://www.channeldraw.org/2020/02/07/freedom-for-patrick-zaky/
39 Costantini G., We don’t exist. Bucha is hell, 2022, URL: https://www.channeldraw.org/2022/05/12/we-dont-exist-bucha-is-hell/
BIBLIOGRAFIA
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