
di Piero Ferrante (Macondo – la città dei libri)
In frangenti come questo viene voglia di cantare Giorgio Gaber. E cantiamo. “Io non mi sento Italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. Poi ci pensiamo su. Lo siamo, “purtroppo”, nelle polemiche di bassa lega riscatti si-riscatti no, negli inciuci di palazzo, nelle case a insaputa dei ministri, nelle ammazzatine teologiche, nei mondi di sopramezzosotto, nella torta spartita con la mafia, nel razzismo sopito, nelle trattative e nelle bombe alle stazioni. Lo siamo, “purtroppo”, quando ci guardiamo le rughe allo specchio e le riconosciamo in Mussolini, Gelli, Andreotti, Craxi, Mambro, Fioravanti, Placanica e compagnia cantante. Lo siamo, “per fortuna”, nell’anelito di libertà da guappi, nella vocazione ribelle, nello spirito bastardo e nella carne mista, un po’ normanna, un po’ francese e mezzo araba. Siamo “per fortuna” Masaniello nel sangue, Garibaldi nel cuore e Berlinguer nella testa. Insomma, altro che Charlie: siamo tutti un po’ nipoti di Sandro Pertini. Continua