
Ogni volta che presento “Fedele alla linea” il libro di Graphic Journalism che ho pubblicato per BeccoGiallo alla fine durante le domande c’è sempre qualcuno che mi chiede “Lei cosa pensa di Kobane Calling di ZeroCalcare? Lo considera un buon libro di giornalismo a fumetti?”. Sono sincero e credo che mi trovi d’accordo anche Zerocalcare, Kobane Calling non è un libro di giornalismo a fumetti, ma come è scritto sul sito del suo editore “Un diario di viaggio” e infatti il protagonista assoluto di questo libro non è il Kurdistan ma Zerocalcare in Kurdistan.
Queste prime righe sono in verità utili per parlare del nuovo libro di Claudio Calia “Kurdistan. Dispacci dal fronte iracheno” e di come è costruito e composto. Ultimamente in una recensione su Il Fatto Quotidiano il giornalista Stefano Feltri cerca di capire e accusa Calia di ripetitività e di noiosità del racconto, di come poco si vedano i luoghi del racconto e che alla fine il fumetto sia un’interrotta intervista e sequenza di primi piani, sono critiche giuste ma anche facilmente inquadrabili nella visione e lettura di un “giornalista” classico.
La diversità tra il libro di Zerocalcare e quello di Claudio e proprio la serietà di come si affronta il tema, quella voluta timidezza che nasconde l’autore e non lo fa diventare il “Mickey Mouse” di turno. Gli argomenti di cui si parla sono molto seri e coinvolgono emotivamente le persone sia intervistate oppure che lavorano con queste persone e come mi diceva Joe Sacco molti anni fa, è difficile far parlare le persone in quei luoghi soprattutto se sei un occidentale. Il disegno aiuta in questo.

L’autore in questione è stato inviato in quella zona del mondo da Un Ponte per… e dall’Associazione Ya Basta Caminantes di Padova, c’è un motivo didattico e di testimonianza dietro al progetto e il risultato deve essere utile loro e a noi.
Nelle vite delle persone bisogna entrare in punta di piedi, annusarle, accarezzarle per conoscerle e raccontarle si può fare in tanti modi e credo che Calia sia stato bravo in questo. Forse la continua intervista può essere noiosa ma questa non è una fiction è la realtà delle cose e il giornalismo si basa sulle interviste, certo si possono incrociare le fonti, farne molte di più, sentire voci discordanti, ma non era il senso di questo lavoro di quello che veniva chiesto al giornalista disegnatore.
L’unica critica forse è il disegno, avrei voluto qualche dettaglio in più, qualche cosa che mi facesse sentire più, lì, dove si trovava l’autore, ma l’asetticità del disegno di Calia è la sua caratteristica. Sono sincero mi piacerebbe molto vedere un lavoro così approfondito scritto da Calia ma disegnato da un altro autore per capire cosa altro si può aggiungere.

Spesso anche i miei fumetti vengono accusati di essere troppo, didascalici, troppo seri, proprio per questo ho voluto scrivere questo breve testo, è importante ragionarci su per capire il futuro del linguaggio. In Italia i disegnatori che fanno realmente Graphic Journalism si contano su una mano, io posso ora dire che Claudio Calia è una delle dita.