di Daniela Corneo sul Corriere della Sera
del 24 luglio 2023

Patrick Zaki, da quel 7 febbraio 2020, quando fu arrestato al Cairo di ritorno a casa per una vacanza, ha continuato idealmente a vivere nella «sua» Bologna, dove non si è mai smesso di sperare nella sua libertà. È stato sotto le Due Torri, nelle aule studio, nella biblioteca del Rettorato in via Zamboni, nel cuore della zona universitaria, sulla panchina nel cortile di Palazzo d’Accursio e in piazza Maggiore grazie ai disegni, ai manifesti, alle sagome cartonate, agli enormi pannelli che lo ritraggono, disseminati per la città. E così quel suo viso sorridente, anche se avvolto dal filo spinato, hanno imparato a conoscerlo tutti. Ha fatto il giro del mondo, pur restando il figlio prediletto di una città che solo qualche settimana fa, da remoto, gli ha conferito la laurea nel master «Gemma», specializzazione di Unibo sugli Studi di genere. Sotto le Due Torri ancora campeggia il manifesto dove si invoca la sua libertà, con lui stretto nel filo spinato. Ieri sera Patrick è passato da lì, da uomo libero: presto quell’immagine scomparirà. E verrà tolta anche la sagoma messa a sedere, in attesa del suo ritorno, sulla panchina del cortile del Comune: lì adesso è atteso lui. E attorno a lui, i suoi amici. Patrick è diventato anche quella sua immagine in bianco e nero che chiede aiuto. E dietro a quei disegni c’è Gianluca Costantini, docente dell’Accademia di Bologna e graphic journalist impegnato con Amnesty International: fu lui, il 7 febbraio del 2020, a inviare nel mondo il primo disegno di Patrick. «Le sue sagome e imanifesti— racconta Costantini—han preso vita e ormai sono in tutta Italia: l’ultimo disegno sarà quello che farò per la grande festa in piazzaMaggiore del 30 luglio. Grazie a queste immagini siamo riusciti a parlare di diritti umani e Zaki ne è diventato il simbolo». Ora sulla facciata di Palazzo d’Accursio resta appeso solo lo striscione che invoca la verità per Giulio Regeni.